2014-04-29

Quando l'Alaska era territorio russo


Nel 2008 una delle più celebri gaffes della disastrosa campagna elettorale di Sarah Palin, la bislacca candidata repubblicana alla vicepresidenza, fu quella di sostenere di poter vedere la Russia da casa sua. Nonostante la dichiarazione della paladina del TEA Party abbia fatto sorridere molti, aumentando le peplessità sulle sue reali capacità politiche, il regno di Putin e l’ex feudo di Sarah Palin sono in realtà separati solo dallo stretto di Bering lungo circa 85 chilometri. E per essere più pignoli nel punto di massima vicinanza, rappresentato dalle Isole Diomede, Alaska e Russia distano solo pochi chilometri. C’è stato però un tempo, nemmeno troppo lontano in cui l’Alaska non era territorio americano, bensì faceva parte dell’Impero Russo. E visto che Barack Obama in quelle fredde terre dalle simpatie repubblicane non è esattamente popolarissimo c’è chi ha ben pensato di chiedere la riannessione alla Russia tramite una raccolta di firme in rete, finita direttamente sul sito della Casa Bianca. La goliardica petizione per il ritorno dell’Alaska in Russia ha raggiunto la ragguardevole cifra di 35mila firme (pari al 5% della popolazione dello stato). A seguito di questa simpatica provocazione il sito “Russia Beyond the Headlines” ha deciso di raccontare la curiosa storia della cessione dell’Alaska agli Stati Uniti. Buona lettura
Una petizione che chiedeva l’annessione dell’Alaska alla Russia postata sul sito ufficiale della Casa Bianca ha raccolto 35mila firme prima di essere cancellata. Molte persone continuano a pensare che gli Stati Uniti abbiano rubato l’Alaska alla Russia o l’abbiano “noleggiata” per poi non restituirla più. Nonostante la diffusa narrativa, l’accordo fu onesto e ambo le parti avevano le loro ottime ragioni per concluderlo.
L’Alaska prima della cessione
Nel 19° Secolo, l’Alaska russa era un centro di commercio internazionale. Nella capitale Novoarkhangelesk (l’odierna Sitka) i mercanti commerciavano manufatti cinesi, the e ghiaccio, fortemente richiesto dal Sud degli USA prima dell’invenzione del congelatore. Si costruivano navi e fabbriche e si estraeva il carbone. Inoltre era già nota la presenza di giacimenti auriferi nell’area. Cedere questa terra sembrava una pazzia. I mercanti russi erano attratti dall’Alaska per l’avorio di tricheco (costoso quanto quello di elefante) e le costose pellicce lontra marina, che potevano procurarsi contrattando con le popolazioni indigene dell’area. Il commercio era gestito dalla RAC (Russian-American Company), compagnia creata da avventurieri, esploratori e imprenditori. La compagnia controllava le miniere e i minerali dell’Alaska, stringeva accordi con stati stranieri e aveva perfino una sua moneta e una sua bandiera. 
Questi privilegi erano garantiti alla compagnia dal governo imperiale. Il governo zarista non solo ricavava grandi ritorni fiscali dalla compagnia, ma ne era pure in parte propietario. La famiglia imperiale era infatti tra gli azionisti della RAC. 
Il Pizarro Russo
Il più grande governatore degli insediamenti russi in America fu il talentuoso mercante Alexander Baranov.
Costruì scuole e fabbriche, insegnò ai nativi la coltivazione della rutabaga e della patata, costruì fortezze e cantieri navale ed espanse il commercio della lontra marina. Baranov si soprannominò “Il Pizarro Russo” e si legò all’Alaska non solo con la borsa, ma pure con il cuore sposando la figlia di un capo Aleuto.
Durante il governo di Baranov la RAC fece lucrosi guadagni. I profitti crebbero del 1.000%. Quando un ormai senescente Baranovsi si dimise, venne rimpiazzato dal luogotenente Hagemeister che portò con se nuovi impiegati ed azionisti dalle cerchie militari. Lo statuto venne modificato per permettere solo a ufficiali navali di poter prendere il comando della compagnia. I militari si appropriarono ben presto dei profitti della compagnia, ma con le loro azioni finirono poi per rovinarla. 
Sporchi guadagni
I nuovi padroni stabilirono per loro stessi compensi astronomici. All’epoca un comune ufficiale militare guadagnava 1.500 rubli all’anno (paragonabile allo stipendio di ministri e senatori), mentre i capi della RAC guadagnavano 150.000 rubli l’anno. Compravano la pelliccia a metà prezzo dalla popolazione autoctona. Come conseguenza gli esquimesi e gli aleuti sterminarono le lontre marine, privando l’Alaska del suo commercio più prezioso. I nativi cominciarono a soffrire ristrettezze economiche e si ribellarono, le loro ribellioni vennero represse dai Russi con bombardamenti dei villaggi costieri. 
Gli ufficiali cominciarono a cercare nuove fonti di reddito. In conseguenza cominciarono a commerciare the e ghiaccio, ma gli avidi uomini d’affari non furono in grado neppure di organizzare il tutto, e ovviamente abbassare i loro salari era impensabile. La RAC quindi ottenne un lauto sussidio pubblico di 200.000 rubli l’anno, ma nemmeno questo risollevò la compagnia. 
E quindi venne la Guerra di Crimea, con Regno Unito, Francia e Impero Ottomano alleati contro la Russia. Fu chiaro fin dal principio che la Russia non era in grado di difendere e di rifornire l’Alaska, dato che le rotte marine erano controllate dagli avversari. Si affievolirono anche le speranze sullo sfruttamento dell’oro. Era forte il timore che i britannici potessero bloccare l’Alaska e lasciare la Russia a mani vuote.
Le tensioni tra Mosca e Londra crebbero, mentre le relazioni con gli Stati Uniti divennero invece molto migliori. Ambo le parti partorirono quasi simultaneamente l’idea della cessione. Il Barone Edward de Stoeckl, l’inviato russo a Washington, aprì i colloqui col ministro degli esteri americano William Sweard per conto dello zar. 
La bandiera Russa si rifiuta di lasciare
Mentre i burocrati trattavano l’opinione pubblica di ambo i paesi era decisamente contraria all’accordo. “Come possiamo dar via questa terra per cui abbiamo speso risorse e tempo nel suo sviluppo, terra dove è appena arrivato il telegrafo e dove sono state scoperte miniere d’oro” scrivevano i giornali russi. “Perché l’America avrebbe bisogno di una “scatola di ghiaccio” e di 50mila esquimesi che bevono olio di pesce la mattina?” si chiedeva indignata la stampa statunitense.
Non era indignata solo la stampa, anche il Congresso non approvava l’acquisto. Ma il 30 Marzo del 1867, a Washington D.C. le parti siglarono comunque l’accordo per la vendita del 1 milione e mezzo di ettari di terreno di proprietà russa in America per la cifra di 7.2 milioni di dollari, 2 centesimi per acro, una somma puramente simbolica. All’epoca un equivalente appezzamento di terra completamente improduttivo in Siberia sarebbe costato oltre 1.000 volte tanto sul mercato interno. Ma la situazione era critica e la Russia rischiava di non prendere nemmeno quello. 
La consegna ufficiale della terra avvenne a Novoarkhangelsk. I soldati Russi e Statunitensi si allinearono vicino al pennone da cui la bandiera russa cominciò a scendere accompagnata dai saluti rituali. Però la bandiera rimase incagliata in cima al pennone. Il marinaio che si arrampicò per disincagliare la bandiera la gettò giù, dritta sulle baionette dei soldati Russi. Era un brutto presagio! Poco dopo gli Statunitensi cominciarono a requisire i palazzi della città che cambiò nome in Sitka. Centinaia di Russi che si rifiutarono di prendere la cittadinanza statunitense dovettero scappare su navi mercantili e non raggiunsero casa fino all’anno seguente. 
Passo poco tempo e dalla “scatola di ghiaccio” cominciò a fluire l’oro. La corsa all’oro del Klondike cominciò in Alaska, portando agli Stati Uniti migliaia di milioni di dollari. Ovviamente tutto ciò era seccante. Ma è impossibile sapere come sarebbero evolute le relazioni tra le maggiori potenze mondiali se la Russia non fosse fuggita in tempo dalla problematica e infruttuosa regione. Regione che mercanti talentuosi e spavaldi avevano reso fruttuosa ma che avidi ufficiali della marina avevano distrutto. 

2014-04-21

Curare il tronchetto della felicità



Molto diffusa, ornamentale e longeva, Dracaena fragrans chiede poche attenzioni. Se però ha qualche problema, è opportuno intervenire al più presto. Ecco come.

Il nome comune “tronchetto della felicità” è ricco di suggestioni e fa riferimento, oltre che al suo grazioso aspetto, anche alla principale caratteristica della pianta: la sua considerevole longevità.Appartenente alla Famiglia delle Agavaceae e originario delle foreste tropicali del Centro Africa, dove può raggiungere altezze considerevoli, sino a 10-12 metri, il tronchetto della felicità è noto botanicamente come Dracaena fragrans. Ampiamente diffuso negli ambienti interni a partire dalla fine degli anni ’70, si può acquistare in diverse dimensioni: da piantine alte 20-30 centimetri, sino ad esemplari che possono raggiungere l’altezza di due-tre metri.
Interventi tempestivi se la pianta è malata
Tra le piante adatte agli spazi interni, il tronchetto della felicità è una di quelle che possono dare le maggiori soddisfazioni, oltre che per la bellezza, anche per la buona adattabilità ai luoghi chiusi e la non difficile coltivazione. Tuttavia il mancato soddisfacimento di alcune esigenze (in particolare per quanto concerne temperatura e acqua) può tuttavia far diminuire il pregio ornamentale delle piante e, nei casi più gravi, determinarne il rapido deperimento. Il riconoscimento tempestivo e certo dei sintomi, permette di effettuare diagnosi attendibili e di approntare i più opportuni interventi curativi volti a contenere l’avversità.
 sintomo: DECOLORAZIONE DELLE FOGLIE
cause: CARENZA DI AZOTO
Le foglie, inizialmente quelle più giovani, rimangono più piccole del normale, con una colorazione verde pallido; quelle più vecchie appaiono ingiallite e poco vigorose. La decolorazione determina anche la forte riduzione del contrasto tra aree verdi e striature gialle. Nei casi più gravi, tutto il fogliame ingiallisce in modo uniforme e non si ha più emissione di nuove foglie. Il danno si manifesta soprattutto in piante mantenute in contenitori troppo piccoli o coltivate in substrato di scarsa qualità e scarsamente concimate.
Rimedi
Distribuire regolarmente concimi liquidi ricchi in azoto (ad esempio sangue di bue); a livello preventivo, acquistare piante sane e ben sviluppate, allevate in terriccio di qualità.

sintomo: INGIALLIMENTO DELLE FOGLIE
cause: DANNO DA ECCESSO DI LUCE
I tronchetti non sopportano gli ambienti troppo luminosi: le foglie, a causa del contatto diretto con i raggi solari o con sorgenti luminose artificiali troppo intense, manifestano facilmente decolorazioni, ingiallimenti e, nei casi più gravi, vere e proprie scottature. Il danno si manifesta soprattutto in periodo estivo ed è accentuato da un insufficiente apporto idrico.
Rimedi
Le piante danneggiate vanno velocemente portate in luogo ombreggiato e le foglie disseccate tagliate, al fine di favorire un veloce e vigoroso nuovo ricaccio. Nebulizzare il fogliame con acqua. Non servono trattamenti antiparassitari o concimazioni.

sintomo: MACCHIE SUI MARGINI FOGLIARI
cause: ECCESSO DI CONCIME
Il tronchetto è assai sensibile agli eccessi di concime, che determinano la formazione di macchie, seppur non troppo estese, di colore giallo-bruno, lungo i margini fogliari. I danni sono più probabili quando si concima senza aver prima adeguatamente irrigato il substrato.
Rimedi
Generalmente i danni sono di entità limitata e non recuperabili. È importante attendere alcuni mesi prima di riprendere a concimare, comunque con dosaggi assai ridotti. Non eseguire alcun trattamento antiparassitario.

sintomo: RIPIEGAMENTI delle foglie
cause: AFIDI
Se, soprattutto in primavera, si notano decolorazioni e ingiallimenti delle foglie,arrotolamenti e deformazioni delle lamine fogliarirallentamento di crescita nelle giovani piante, la causa potrebbe essere un attacco da parte degli afidi. Si tratta di parassiti di colore verde o nero. Questi si alimentano dei succhi cellulari delle parti verdi della pianta, causando le alterazioni fogliari; possono inoltre trasmettere pericolosi virus. Colpiscono soprattutto le varietà con foglie più estesamente di colore verde.
Rimedi
Trattare tempestivamente con insetticidi aficidi chimici o con prodotti biologici (piretro, tanaceto, neem). A scopo preventivo, ridurre le concimazioni con azoto che, se in eccesso, favorisce lo sviluppo di tessuti verdi troppo teneri, quindi più sensibili agli attacchi degli afidi.

sintomo: AMMASSI COTONOSI BIANCHI 
cause: COCCINIGLIE
Queste cocciniglie si manifestano sotto forma di ammassi biancastri appiccicosi, localizzati prevalentemente nel punto di inserzione delle foglie sul rachide del ciuffo apicale, laddove c’è maggior ombrosità e l’aria circola meno. Raramente si insediano sul tronco. In caso di grave attacco, le foglie attaccate subiscono prima decolorazioni e ingiallimento per sottrazione di linfa, poi disseccamenti fogliari e generale deperimento. Le cocciniglie, secondariamente, possono favorire lo sviluppo di fumaggine.
Rimedi
Intervenire tempestivamente con insetticidi specifici (oli minerali), che ricoprono gli insetti e li soffocano, oppure, se la presenza è limitata, con soluzione di acqua e sapone di Marsiglia, da risciacquare dopo un ventina di minuti dall’applicazione. Nel caso di forte infestazione eliminare le foglie più colpite. Gli attacchi sono frequenti in piante indebolite (poco concimate, mantenute in vasi troppo piccoli) e il loro sviluppo è favorito da un ambiente molto caldo e umido.

2014-04-19

Il mistero della moglie di Gesù


Uno dei misteri più discussi sulla vita di Gesù, è quello se il figlio di Dio avesse o meno rapporti con le donne, o se addirittura fosse sposato con una di esse.
In tal senso, Maria Maddalena, la discepola che (stando ad alcune fonti) per prima assistette al miracolo della resurrezione, è stata indicata per anni dai revisionisti cristiani come la possibile moglie di Gesù.
Una teoria per i cristiani tradizionalisti blasfema e non accettata dalla chiesa ufficiale, che ha sempre dichiarato non attendibili i vangeli apocrifi e ancor meno il vangelo di Maria Maddalena (ritenuta da alcuni addirittura una prostituta), un testo gnostico scritto in lingua copta avente come protagonista la figura di Maria e del quale disponiamo solo di pochi e lacunosi papiri.
Karen King, studiosa della Harvard Divinity School, nel 2012 presentò al pubblico in un congresso dal titolo:”il vangelo della moglie di Gesù”, un nuovo frammento che faceva riferimento ai rapporti di Cristo con le donne.
Il papiro risalirebbe all’ VIII secolo d.C. e in un punto riporta testuali parole:
“Gesù disse loro: mia moglie…anche lei sarà un mio discepolo.”
Il testo è in lingua copta ma ai tempi della sua scoperta non fu dichiarato attendibile perché secondo gli esperti linguisti recava evidenti errori grammaticali e una qualità dell’inchiostro non conforme al periodo. Il giorno successivo al convegno il giornale vaticano pubblicò infatti un editoriale nel quale lo bollava come un falso realizzato in epoca moderna.
A distanza di due anni e a seguito di ulteriori studi, la dottoressa King torna alla carica, ribadendo che le analisi effettuate con la tecnica della spettroscopia sui caratteri e sull’inchiostro utilizzato, in relazione ad altri testi in lingua copta risalenti al secolo VIII, ne rivelerebbero l’autenticità.
“L’autenticità di questo frammento non vuole dimostrare che Gesù aveva una moglie.” Ha specificato la dottoressa King, sicura di avere fra le mani un documento autentico.
“Può però fornirci indicazioni utili sul rapporto fra il sesso femminile e Gesù, dimostrando che anche le donne, madri e mogli, possono essere discepole di Cristo alla stessa maniera in cui lo sono gli uomini ed erano considerate al pari degli uomini nella chiesa del VIII secolo.”
Nelle lettere di San Paolo il ruolo della donna nella chiesa era confinato ai margini. Questi testi del passato sono infatti alla base di una mentalità maschilista spesso criticata all’interno dell’organizzazione ecclesiastica.
Del resto, anche gli studi su Maria Maddalena e il suo ruolo, volti a riabilitare la discepola femmina di Gesù dal ruolo di meretrice avventatamente cucitole addosso, hanno l’obiettivo di riconoscere un’uguaglianza fra i sessi all’interno della chiesa che nel 2014 viene da molti auspicata.

2014-04-12

Le città più pericolose del mondo, dove sarà NAPOLI ?



Ecco la classifica delle 50 città più pericolose del mondo, pubblicata negli Stati Uniti da "Business Insider". Secondo voi Napoli dov'è?

1. San Pedro Sula, Honduras - 169.30 omicidi ogni 100,000 abitanti.
2. Acapulco, Messico - 142.88 omicidi ogni 100,000 abitanti.
3. Caracas, Venezuela - 118.89 omicidi ogni 100,000 abitanti.
4. Distrito Central, Honduras - 101.99 omicidi ogni 100,000 abitanti.
5. Torreón, Messico - 94.72 omicidi ogni 100,000 abitanti.
6. Maceió, Brasile - 85.88 omicidi ogni 100,000 abitanti.
7. Cali, Colombia - 79.27 omicidi ogni 100,000 abitanti.
8. Nuevo Laredo, Messico -  72.85 omicidi ogni 100,000 abitanti.
9. Barquisimeto, Venezuela - 71.74 omicidi ogni 100,000 abitanti.
10. João Pessoa, Brasile - 71.59 omicidi ogni 100,000 abitanti.
11. Manaus, Brasile - 70.37 omicidi ogni 100,000 abitanti.
12. Guatemala, Guatemala - 67.36 omicidi ogni 100,000 abitanti.
13. Fortaleza, Brasile - 66.39 omicidi ogni 100,000 abitanti.
14. Salvador, Brasile - 65.64 omicidi ogni 100,000 abitanti.
15. Culiacán, Messico - 62.06 omicidi ogni 100,000 abitanti.
16. Vitoria, Brasile - 60.40 omicidi ogni 100,000 abitanti.
17. New Orleans, Stati Uniti d'America - 56.13 omicidi ogni 100,000 abitanti.
18. Cuernavaca, Messico - 56.08 omicidi ogni 100,000 abitanti.
19. Juárez, Messico - 55.91 omicidi ogni 100,000 abitanti.
20. Ciudad Guayana, Venezuela - 55.03 omicidi ogni 100,000 abitanti.
21. Detroit, Stati Uniti d'America - 54.63 omicidi ogni 100,000 abitanti.
22. Cúcuta, Colombia - 54.29 omicidi ogni 100,000 abitanti.
23. São Luís, Brasile - 50.16 omicidi ogni 100,000 abitanti.
24. Medellin, Colombia - 49.10 omicidi ogni 100,000 abitanti.
25. Kingston, Jamaica - 48.48 omicidi ogni 100,000 abitanti.
26. Belém, Brasile - 48.23 omicidi ogni 100,000 abitanti.
27. Cape Town, Sudafrica - 46.04 omicidi ogni 100,000 abitanti.
28. Cuiabá, Brasile - 45.28 omicidi ogni 100,000 abitanti.
29. Santa Marta, Colombia - 45.26 omicidi ogni 100,000 abitanti.
30. Recife, Brasile - 44.54 omicidi ogni 100,000 abitanti.
31. Valencia, Venezuela - 43.87 omicidi ogni 100,000 abitanti.
32. Chihuahua, Messico - 43.49 omicidi ogni 100,000 abitanti.
33. San Juan, Puerto Rico - 43.25 omicidi ogni 100,000 abitanti.
34. Goiânia, Brasile - 42.01 omicidi ogni 100,000 abitanti.
35. Port-au-Prince, Haiti - 40.10 omicidi ogni 100,000 abitanti.
36. Victoria, Messico - 37.78 omicidi ogni 100,000 abitanti.
37. Pereira, Colombia - 36.13 omicidi ogni 100,000 abitanti.
38. Nelson Mandela Bay, Sudafrica - 36.02 omicidi ogni 100,000 abitanti.
39. Maracaibo, Venezuela - 35.44 omicidi ogni 100,000 abitanti.
40. St. Louis, Stati Uniti d'America - 35.39 omicidi ogni 100,000 abitanti.
41. Baltimore, Stati Uniti d'America - 35.03 omicidi ogni 100,000 abitanti.
42. Curitiba, Brasile - 34.08 omicidi ogni 100,000 abitanti.
43. Oakland, Stati Uniti d'America - 33.10 omicidi ogni 100,000 abitanti.
44. San Salvador, El Salvador - 32.48 omicidi ogni 100,000 abitanti.
45. Macapá, Brasile - 32.06 omicidi ogni 100,000 abitanti.
46. Durban, Sudafrica - 30.94 omicidi ogni 100,000 abitanti.
47. Monterrey, Messico - 30.85 omicidi ogni 100,000 abitanti.
48. Belo Horizonte, Brasile - 29.74 omicidi ogni 100,000 abitanti.
49. Brasilia, Brasile - 29.73 omicidi ogni 100,000 abitanti.
50. Barranquilla, Colombia - 29.41 omicidi ogni 100,000 abitanti.

E in Italia?

Grazie ai dati dell'Associazione Nazonale delle Forze di Polizia (ANPF) si scopre che Milano è la città italiana che conta più crimini (insidiata ora da Torino). A seguire Roma, mentre Napoli è al quarto posto. Subito dopo è il turno di Rimini (seconda per per numero di delitti denunciati in rapporto ai cittadini) quindi Bologna e L'Aquila, mentre a Pavia crescono i furti domestici.

La morale è che, malgrado questo, Napoli è universalmente considerata - anche grazie al successo di certi libri e film - la "città della camorra". E che i turisti la temono e la disertano.
L'attacco mediatico contro la città continua, bisogna imparere a difendersi e spegnere per sempre i luoghi comuni creati intorno a lei.