2013-11-19

Mega sequestro di shampoo cancerogeno


Nuovi particolari sull’inchiesta che ha portato 
la Guardia di Finanza a sequestrare 50 mila 
cosmetici contenenti formaldeide, sostanza 
cancerogena. Le indagini erano iniziate dopo il 
ricovero ospedaliero di alcune donne che si 
erano sottoposte a trattamenti cosmetici sui 
capelli. Non a caso i finanzieri hanno 
denominato ‘Riccioli d’oro’ l’inchiesta 
concentrata su prodotti ‘liscianti’ per capelli, 
usati anche da professionisti: in alcuni sono 
stati rivenuti quantitativi della sostanza 35 
volte superiori a quelli massimi consentiti dalla 
legge. Sono state perquisite le societa’ di 
produzione ed importazione dei cosmetici, tra 
le quali una con sede a Napoli ed è stato 
richiesto il rinvio a giudizio per i 5 
rappresentanti legali mentre e’ scattata la 
denuncia per 21 responsabili. Oggi siamo in 
grado di fornirvi l’elenco dei prodotti che la 
Guardia di Finanza ha sequestrato e ritirato 
dal mercato e la percentuale di formaldeide 
contenuta, emersa delle due procedure 
standard previste dal DM del ’90.
ECCO I PRODOTTI:
1 CADIVEU BRASIL CACAU TERMAL RECONSTRUCT 6,558 % 6,450 %
2 CADIVEU PLASTICA DOS FIOS 7,700% 7,400%
3 BIONAZA KERAHAIR PREMERIERE BRASILIAN KERATIN SYSTEM ml. 236 0,737 % 0,850 %
4 BIONAZA KERAHAIR PREMERIERE BRASILIAN KERATIN SYSTEM ml. 473 2,406 % 2,450 %
5 BIONAZA KERAHAIR PREMERIERE BRASILIAN KERATIN SYSTEM ml. 946 2,317 % 2,530 %
6 BIONAZA CHOCOHAIR ml. 473 1,821 % 1,440 %
7 BIONAZA CHOCOHAIR BRAZILIAN KERATIN CHOCOLAT ml. 946 1,367 % 1,230 %
8 BIONAZA CHOCOHAIR BRAZILIAN KERATIN CHOCOLAT ml. 119 1,806 % 1,710 %
9 BIONAZA KERA VINO ml. 119 2,571 % 2,530 %
10 BIONAZA KERA VINO ml. 473 1,690 % 1,680 %
11 BIONAZA KERA VINO PREMIERE BRAZILIAN KERATIN SYSTEM BIONAZA ml.976 1,523% 1,560%
12 BIONAZA KERA VINO PREMIERE BRAZILIAN KERATIN SYSTEM BIONAZA ml. 236 0,936 % 0,850 %
13 BIONAZA DIAMOND PREMIERE BRAZILIAN KERATIN SYSTEM ml. 236 1,036 % 0,980 %
14 BIONAZA DIAMOND PREMIERE BRAZILIAN KERATIN SYSTEM ml. 946 1,027 % 0,960 %
15 BIONAZA DIAMOND PREMIERE BRAZILIAN KERATIN SYSTEM ml. 354 1,315 % 0,770 %
16 BIONAZA DIAMOND PREMIERE BRAZILIAN KERATIN SYSTEM ml. 119 1,335 % 1,680 %
17 CLAUDIA PAZZINI SPAZZOLA PROGRESSIVA FLUIDO 2 ml. 500 1,434 % 1,330 %
18 CLAUDIA PAZZINI SPAZZOLA PROGRESSIVA LIFTING RISTRUTTURANTE 2 ml. 500 0,540 % 0,270 %
19 CLAUDIA PAZZINI SPAZZOLA PROGRESSIVA FLUIDO GEL EXTRA ml. 1000 1,357 % 1,320 %
20 KERATIN COMPLEX SMOOTHING THERAPY INTENSE RX ml. 50 0,814 % 0,8 %
21 KERATIN COMPLEX SMOOTHING THERAPY INTENSE RX ml. 473 0,506% 0,780 %
22 KERATIN COMPLEX SMOOTHING THERAPY NATURAL TREATMENT ml. 946 1,534% 1,710%
23 KERATIN COMPLEX SMOOTHING THERAPY NATURAL TREATMENT ml. 473 1,933% 1,820

Fonte : milano.repubblica.it/cronaca/2013/04/10/news/shampoo_lisciante_alla_formaldeide_via_al_maxi_sequestro_21_denunciati-56338837/

Conviene curarsi i denti all'estero ?

Capita sempre più frequentemente di imbattersi, in internet o sui giornali, in pubblicità che ci invitano ad effettuare cure odontoiatriche all’estero, normalmente nell’Europa dell’est, promettendo terapie di alto livello a prezzi straordinari. Può essere davvero conveniente?
Proviamo a ragionarci su:

Cosa costituisce il costo delle cure?

Sono diversi fattori, ecco i principali:

  • La struttura
  • I consumi
  • Le attrezzature
  • Gli adempimenti burocratici
  • I materiali
  • L’aggiornamento
  • Il personale

Tutte queste voci danno origine al "costo orario", cioè a quanto costa al professionista tenere in funzione la struttura. Facile capire che essendo i costi proporzionali al tempo, questo sia, in definitiva, il vero elemento determinante le tariffe al paziente.

È però importante dire che l’odontoiatria di qualità ha bisogno dei giusti tempi operativi (anche il proverbio dice che "presto e bene non stanno insieme"), quindi agire sui costi riducendo il tempo dedicato alle cure è controproducente per il paziente.

Cosa succede all’estero (e in qualche centro low cost italiano)?

Diamo per scontato di rivolgersi a strutture attrezzate con odontoiatri abilitati e bravi (ce ne sono anche là, seppure in quei paesi il livello medio delle terapie sia inferiore a quello italiano).

Grazie ad alcune voci di costo che nei paesi dell’est sono inferiori (ad esempio il costo del personale) i listini sono un po’ più bassi. Se un italiano, magari in pensione, si trasferisse ad esempio in Ungheria per alcuni mesi, potrebbe fruire di buone terapie a prezzo vantaggioso. Però la maggior parte delle persone non può andare a vivere all’estero per dei mesi… quindi a loro vengono offerte cure fatte "molto rapidamente", che giocoforza devono saltare dei passaggi fondamentali.

Cosa succede allora? Madre natura di suo riesce spesso a "metterci una pezza" (almeno nell’immediato) ma nel medio periodo molto facilmente emergono dei problemi che costringono il paziente al rifacimento delle cure… e addio risparmio!

Insieme a dei colleghi ho calcolato che anche noi qui, se venisse un ungherese e fossimo sicuri che ha già il volo prenotato per tornare a migliaia di chilometri di distanza (quindi sicuri di non rivederlo facilmente, con grosse difficoltà per lui di farci causa per aver ricevuto "terapie non ideali") potremmo fargli grossi lavori in un week end agli stessi loro prezzi. Il segreto è il tempo impiegato: poco tempo, pochi costi, ma, come dicevo prima "presto e bene non stanno insieme" e, trattandosi di salute, non è questo il modo corretto di risparmiare.

Come dico sempre L’UNICO VERO RISPARMIO IN ODONTOIATRIA STA NELLA PREVENZIONE! Fare controlli regolari e mantenere abitudini igieniche corrette ci consente di minimizzare gli interventi necessari (quindi poche cure = poco tempo = poco disagio = poca spesa) e di mantenere il massimo della salute. Questo è IL VERO LOW COST!

L'altra faccia del campione GINO BARTALI "Giusto tra le nazioni"

Gino Bartali "Giusto tra le nazioni".
Salvò quasi mille ebrei dai nazisti

Il ciclista toscano rischiò la vita per salvare quella dei perseguitati dai campi di concentramento. Usando la sua bicicletta per nascondere documenti falsi, il campione salvò ottocento persone. Israele ha riconosciuto il suo impegno e ha in programma una cerimonia in Italia in suo onore anche in Italia.
Gino Bartali, il grande campione di ciclismo, è stato dichiarato 'Giusto tra le nazioni' dallo Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell'olocausto fondato nel 1953. La nomina di 'Giusto tra le nazioni'  è un riconoscimento per i non-ebrei che hanno rischiato la vita per salvare  quella anche di un solo ebreo durante le persecuzioni naziste.


Bartali, oltre ad essere un campione delle due ruote, si distinse in quegli anni per il coraggio con cui collaborò per salvare dalla deportazione alcune famiglie. Sul sito dell'organizzazzione vengono spiegate le motivazioni della nomina. Gino Bartali "un cattolico devoto, nel corso dell'occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l'arcivescovo della città cardinale Elia Angelo Dalla Costa". Ques'ultimo è stato già riconosciuto Giusto tra le Nazioni da Yad Vashem.

"Questa rete ebraico-cristiana, messa in piedi a seguito dell'occupazione tedesca e all'avvio della deportazione degli ebrei, ha salvato - prosegue Yad Vashem - centinaia di ebrei locali ed ebrei rifugiati dai territori prima sotto controllo italiano, principalmente in Francia e Yugoslavia".

Bartali, si legge ancora sul sito del memoriale ebreo, ha agito "come corriere della rete, nascondendo falsi documenti e carte nella sua bicicletta e trasportandoli attraverso le città, tutto con la scusa che si stava allenando. Pur a conoscenza dei rischi che la sua vita correva per aiutare gli ebrei, Bartali ha trasferito falsi documenti a vari contatti e tra questi il rabbino Cassuto". ll periodo in cui lavorò più intensamente per mettere in salvo gli ebrei è tra il settembre 1943 e il giugno 1944. Yad Vashem ha infine annunciato che in onore del campione della due ruote si terrà una cerimonia in Italia in una data ancora da stabilire.

Commozione e felicità, orgoglio e nostalgia. Questi i sentimenti della moglie del campione e del figlio Andrea. "E' una cosa magnifica - afferma Andrea - Aspettavamo questa notizia già da qualche tempo, soprattutto dopo che un mese fa hanno fatto giusto tra le nazioni il cardinale Elia Dalla Costa". E continua : "Saperlo proprio oggi quando qui a Firenze sono iniziati i Mondiali di ciclismo ha un significato enorme". La famiglia di Bartali era stata invitata già nelle settimane scorse a Gerusalemme dal governo israeliano per il mese di ottobre quando si terrà una gran fondo di ciclismo intitolata a Gino Bartali.

Per il coraggio e l'umanità non comune, il ciclista toscano ha ricevuto la medaglia d'oro al merito civile dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi "per aver salvato almeno 800 ebrei".


tratto dal sito di repubblica.it

2013-11-17

Parmigiano Reggiano , una delle eccellenze italiane


IL RE DEI FORMAGGI
Ci sono viaggi affascinanti che si compiono nei luoghi e nel tempo, tra storie e tradizioni che muovono emozioni e ragione.
E talvolta la parte migliore è il ritorno.
Per il Parmigiano Reggiano è così.
Il suo gusto unico e inimitabile è il ritorno da un lungo viaggio in nove secoli di storia, in una campagna fertile che va dall’Appennino al Po, in allevamenti e caseifici in cui si conserva la passione per le cose fatte con cura, in magazzini di stagionatura in cui lentamente matura ciò che di meglio gli uomini sanno fare per offrirvi una parte inconfondibile della natura.
Il Parmigiano Reggiano è un formaggio straordinario, sorprendente negli aromi e nel gusto, tipico nella sua struttura.
Ma se ancora vi state chiedendo perché il Parmigiano Reggiano da nove secoli è considerato il re dei formaggi, partiamo dall’inizio del viaggio.
E, intanto, preparatevi al ritorno.
TERRITORIO
Il Parmigiano Reggiano è prodotto esclusivamente nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena e parte delle province di Mantova e Bologna, tra pianure, colline e montagne racchiuse tra il Po e il Reno.
E’ in questo territorio che si concentrano i quattromila allevamenti in cui le bovine vengono alimentate con foraggi prodotti in quest’area.
E’ da questo profondo legame con un ambiente rispettato e tutelato che cominciano a formarsi le qualità uniche che caratterizzano il “re dei formaggi”.
L’alimentazione degli animali è curata nel rispetto di un rigido regolamento che impedisce l’uso di foraggi insilati e alimenti fermentati.
I costanti controlli sul latte avviato alla trasformazione hanno un obiettivo preciso: mantenerne alta la qualità e quelle particolari caratteristiche che consentono al Parmigiano Reggiano di confermarsi, come è sempre stato, un prodotto del tutto naturale, assolutamente privo di additivi o conservanti.
Fin dal medioevo, quando i monaci benedettini avviarono la produzione di queste grandi forme destinate ad una lunga stagionatura, l’uomo ha solo unito le sue mani alla natura, lasciandola intatta e migliorando esclusivamente ciò che dall’uomo dipendeva.
Custodi e interpreti dei segreti legati all’assoluta artigianalità della lavorazione del latte, sono i maestri casari, che in centinaia di caseifici artigianali compiono quotidianamente gli stessi gesti, ma alla cui personale esperienza e sensibilità si legano indissolubilmente risultati diversamente apprezzabili per gusti e profumi.
LAVORAZIONE
Ogni giorno, il latte della mungitura serale viene lasciato riposare sino al mattino in ampie vasche, nelle quali affiora spontaneamente la parte grassa, destinata alla produzione di burro.
Insieme al latte intero della mungitura del mattino, appena giunto dagli allevamenti il latte scremato della sera viene poi versato nelle tipiche caldaie di rame a forma di campana rovesciata, con l’aggiunta di caglio di vitello e del siero innesto, ricco di fermenti lattici naturali ottenuti dalla lavorazione del giorno precedente.
Il latte coagula in una decina di minuti.
La cagliata che si presenta viene frammentata in minuscoli granuli grazie ad un antico attrezzo detto spino.
E’ a questo punto che entra in scena il fuoco, per una cottura che raggiunge i 55 gradi centigradi, al termine della quale i granuli caseosi precipitano sul fondo della caldaia formando un’unica massa.
Dopo circa cinquanta minuti, la massa caseosa viene estratta, con sapienti movimenti, dal casaro.
Tagliato in due parti e avvolto nella tipica tela, il formaggio viene immesso in una fascera che gli darà la sua forma definitiva.
Con l’applicazione di una placca di caseina, ogni forma viene contrassegnata con un numero unico e progressivo che l’accompagnerà proprio come una carta d’identità.
Dopo poche ore, una speciale fascia marchiante incide sulla forma il mese e l’anno di produzione, il numero di matricola che contraddistingue il caseificio e l’inconfondibile scritta a puntini su tutta la circonferenza delle forme, che a distanza di pochi giorni vengono immerse in una soluzione satura di acqua e sale.
E’ una salatura per assorbimento che in poco meno di un mese conclude il ciclo di produzione e apre quello non meno affascinante della stagionatura.
STAGIONATURA ED ESPERTIZZAZIONE
Nel silenzio dei magazzini le forme si rincorrono in lunghe file.
Per ognuna di esse sono stati necessari circa 600 litri di latte, e l’impegno costante di allevatori e casari.
Ma il lavoro continua.
Lasciato riposare su tavole di legno, la parte esterna del formaggio si asciuga formando una crosta naturale, senza trattamenti, perciò perfettamente edibile.
Quella del Parmigiano Reggiano è una storia lunga, ma è anche una storia lenta, che scorre al naturale ritmo delle stagioni.
La stagionatura minima è infatti di dodici mesi, ed è solo a quel punto che si potrà dire se ogni singola forma potrà conservare il nome che le è stato impresso all’origine.
MARCHIATURA
Gli esperti del Consorzio di tutela  le esaminano una ad una.
Dopo la verifica dell’organismo di controllo, viene applicato il bollo a fuoco  sulle forme che hanno i requisiti della Denominazione d’origine Protetta.
Alle forme che non presentano i requisiti per la dop vengono asportati tutti i contrassegni e la scritta a puntini.
Per i maestri casari è uno dei momenti più delicati, e per i consumatori è la fase più importante: è il momento della selezione e della certificazione di una garanzia assoluta sul prodotto.
Sul formaggio che viene avviato al consumo come fresco (un termine che può suonare curioso per un prodotto che ha già un anno di maturazione) vengono incisi solchi paralleli che lo rendono immediatamente riconoscibile dai consumatori.
Questo é il Parmigiano Reggiano di seconda categoria detto “Mezzano”.
A 18 mesi, su richiesta, alle forme può essere apposto il marchio “Extra” o "Export", ma è soprattutto un sistema di bollini colorati che aiuterà il consumatore a individuare il grado di stagionatura del prodotto preconfezionato disponibile nei punti di vendita.
BOLLINI DI STAGIONATURA
Un bollino color aragosta caratterizza il Parmigiano Reggiano con oltre 18 mesi di stagionatura. E’ un prodotto che presenta una base lattica piuttosto accentuata, con note vegetali quali erba, fiori e frutta che lo rendono ideale per spuntini e aperitivi.
Un bollino argento individua il formaggio con una stagionatura di oltre 22 mesi, con aromi che si vanno decisamente accentuando. Tra questi si possono apprezzare note di frutta fresca e agrumi, accanto ai quali fanno la loro comparsa cenni di frutta secca.
Un bollino oro, infine, rende riconoscibile il prodotto con oltre 30 mesi di stagionatura, il più deciso nel sapore e complesso negli aromi, con elementi nutritivi che sono andati concentrandosi proprio nella lunga maturazione.
BUONO E SANO
Durante la stagionatura, il Parmigiano Reggiano acquista la sua tipica struttura granulosa, la frattura a scaglia, diventa friabile e solubile.
Buonissimo, facilmente digeribile, estremamente ricco dal punto di vista nutrizionale, il Parmigiano Reggiano non perde occasione per eccellere.
Il gusto unico di un prodotto fatto senza additivi, la concentrazione di proteine, vitamine, calcio e sali minerali lo rendono adatto ad ogni età e in ogni situazione, una carica di pronta energia utile per tutti.
AMATO E TUTELATO
Il Parmigiano Reggiano è un formaggio garantito da più di settant’anni dal Consorzio di tutela e, soprattutto, amato da nove secoli per il suo gusto sempre generoso.
Un prodotto inconfondibile e inimitabile nei sapori e nei profumi, nell’artigianalità della produzione, nello straordinario viaggio che propone in un ambiente disegnato da fiumi, pianure e colline, in un irripetibile equilibrio tra la sapienza, la passione degli uomini e i prodigi della natura.
E di ogni viaggio così,certamente la parte migliore è il ritorno: l’incontro con un gusto che di ogni passione e di ogni prodigio conserva memoria.

Chi ha inventato PEPPA PIG ?

Per chi non avesse figli, o li avesse grandicelli, è giunto il momentodi una spiegazione. Peppa Pig è il nome di un cartone animato britannico, prodotto dalla Astley Baker Davies, distribuito dal 2004 dalla E1 (la società che ha prodotto i film di Twilight) e arrivato in Italia nel 2010. A crearla sono stati in tre: Phil Davies (produzione e dialoghi), Mark Baker (disegni e storia) e Neville Astley (storia e animazione). All'inizio rifiutato dalla Bbc, ha avuto successo grazie ai canali Channel 5 e Nick Jr. ed è ora distribuito in 180 Paesi. Un lungo articolo del Financial Times ha ricostruito tutta la vicenda della produzione. 
La protagonista è una maialina di quattro anni, che vive in piccolo paese britannico con la sua famiglia: la madre, Mamma Pig, il padre, Papà Pig e il fratellino George di due anni. Poi ci sono Nonno Pig, Nonna Pig e una serie di amici di altre specie animali: Susy Pecora, Rebecca Coniglio, Danny Cane, Pedro Pony, Emily Elefante e così via. In inglese ogni iniziale del nome corrisponde a quella della specie animale. Tutte queste bestiole non fanno alcunché di speciale: vanno all'asilo, fanno qualche gita nel bosco o feste di compleanni. Talvolta ci sono momenti di dramma, quando si perde un pupazzo a forma di dinosauro o quando il papà non trova gli occhiali. Ma ogni problema si risolve e ciascuna puntata finisce con i personaggi spanciati a terra dal ridere o intenti al loro piacere preferito: saltare nelle pozzanghere di fango. Il tutto viene raccontato in puntate di cinque minuti e cinque secondi, con disegni bidimensionali di una semplicità imbarazzante. 

Al netto di un un grande ritmo, c'è poco di spettacolare: niente 3D, niente sfumature di colori, niente pollici opponibili o altri dettagli realistici. L'auto sale sulle colline dritto per dritto, come se superasse una duna nel deserto, il cielo ha i raggi gialli, le case sono come le rappresenterebbe un bambino di quattro anni. Questa semplicità all'inizio confonde i genitori o i profani totali. «Come può questo orrore piacere così tanto ai bambini?» è la domanda che inevitabilmente salta fuori, sulle prime. Una risposta la dà uno che del personaggio se ne intende, Francesco Raiano, manager che segue lo sviluppo del licensing di Peppa Pig in Italia, per conto di Ets. «Questo stile finto semplice, che rifugge volutamente le tecniche 3D, è una delle chiavi del successo – racconta -. I disegni piatti e i colori altrettanto piatti e pieni, e soprattutto i dialoghi semplici sono rassicuranti per i bambini. Così come lo è il fatto che possano costantemente ritrovare nelle avventure la propria quotidianità. Ci sono solo due elementi di distonia rispetto alla realtà: i maiali grugniscono a ogni frase e festeggiano, appena possibile, saltando nel fango. Un gesto che piace ai bambini e che, tuttavia, non desta preoccupazione».
Tutto qui il segreto del successo di Peppa Pig? Perché di successo incontestabile si sta parlando. Lo dimostrano alcuni dati. Ogni giorno, in Italia, 500mila bambini tra i 3 e gli 8 anni guardano Peppa Pig, tra il mattino, il pomeriggio e la sera. «Nei giorni con audience maggiore, si arriva a 600mila. In altre parole, un bambino su due in target, tra quelli che guardano la tv, la vedono», dice Raiano. Rai Yoyo, il canale Rai che trasmette il cartone, assieme a Disney Junior, raddoppia il proprio share durante i vari passaggi nella giornata. «Dei 34 canali tematici tra satellite e digitale terrestre dedicati ai bambini – aggiunge – grazie a Peppa Pig Rai Yoyo è diventato il più visto nella fascia di audience tra i 3 e gli 8 anni, raggiungendo livelli che poteva permettersi soltanto Italia Uno, prima della proliferazione dei mille canali digitali». A questi dati vanno sommate le visualizzazioni su Youtube: le puntate più viste contano da 1 a 4 milioni di visite. 




Un'affermazione che non poteva non riflettersi anche nel mondo del merchandising. All'inizio furono i libri. Giunti Kids fiutò il fenomeno con grande anticipo, quando i numeri del Regno Unito cominciavano a esplodere, ricalcati poco dopo da quelli in Spagna. «Abbiamo iniziato a valutare il Personaggio nel “lontano” 2009 e acquisito i diritti l’anno successivo, anno in cui il Digitale Terrestre non era ancora presente in tutta Italia, dunque la serie a cartone animato del personaggio non aveva la diffusione e la capillarità attuale», racconta Beatrice Fini, direttore editoriale di Giunti Editore. «Siamo stati tra l’altro per molto tempo licenziatari unici mentre adesso, da qualche mese, il mercato si è arricchito da altre licenze in diverse categorie merceologiche amplificando il successo del character». A oggi Giunti ha a catalogo di una quindicina di titoli dedicati a Peppa e molte sono le novità di prossima uscita in lavorazione.

«A fine maggio eravamo a 4.300.000 copie vendute e contiamo di inviare sul mercato molte altre centinaia di migliaia di copie da qui alla fine dell’anno», aggiunge. «Tre titoli hanno superato il mezzo milione di copie ciascuno e i titoli di Peppa Pig regnano incontrastati sulle classifiche generali dei libri più venduti da moltissimi mesi, arrivando anche a coprire contemporaneamente le prime 10 posizioni».
Non ci sono solo i libri. Per chi ci ha fatto caso, all'inizio sono spuntate le magliette. Poi i cappellini. All'improvviso nei supermercati sono spuntati fazzoletti, biscotti al cioccolato e patatine con i maialini rosa e i loro amici. Le feste rionali si riempivano di palloncini con Peppa Pig in bicicletta, che superavano in numero di Barbapapà. A carnevale famiglie burlone sfilavano in formazione vestiti da Peppa, genitori e fratellino. E non era ancora arrivata l'estate: secchielli, palline di plastica, peluche, puzzle, libri con cd di canzoncine (destinate a riempire ogni viaggio in auto) e ancora infinite magliette. Una buona fetta di queste, spiega con un po' di rammarico Francesco Raiano, sono contraffatte e vanno a danneggiare il business del concessionario ufficiale, “Accademia”, azienda tessile di Prato. Ma nel mare magnum del merchandising questo conta poco. Oggi i prodotti a marchio Peppa Pig sono in Italia 150-160, distribuiti tra 40 licenziatari, che ottengono i diritti dalla Ets (la quale a sua volta lavora su licenza dell'inglese E1).
Alla fine del 2013, stima, il valore del licensing di Peppa Pig dovrebbe aggirarsi tra i 100 e i 120 milioni di euro, solo in Italia. «Siamo a metà strada, pensiamo che possa crescere ancora». In effetti se uno pensa alla popolarità del personaggio, i prodotti in Italia sono relativamente pochi, se confrontati con fenomeni passati come i Gormiti, le Winx o la contestata (dalle femministe, soprattutto) Hello Kitty, gatta senza bocca e sempre abbinata a faccende di casa, come una remissiva donna di casa giapponese. Solo quest'anno, dice il responsabile di Ets, sono partiti gli astucci e gli zaini per la scuola, andati pare esauriti in breve tempo. «Oggi sono pochi nel mercato i marchi che vanno bene – sottolinea Raiano -, oltre a Peppa Pig ci sono solo Violetta, della Disney, e le Tartarughe Ninja. Questo ha fatto sì che ci fosse una corsa da parte dei licenziatari ad accaparrarsi le licenze».
Nel Regno Unito il valore del merchandising ha toccato nel 2010 i 200 milioni di sterline (circa 300 milioni di euro) ed è stabile da allora. I piccoli consumatori (da 2 a 6 anni per i maschi, da 2 a 7 per le bambine, che rappresentano il 60% degli acquirenti) si sostituiscono senza flessioni e spesso qualche ricordo rimane anche per chi cresce, come sembrano dimostrare i numeri alti di suonerie per cellulari scaricate con la siglia di Peppa Pig. In Inghilterra, a Paultons Park, Hampshire, nell’aprile del 2011, è stato creato il parco a tema Peppa Pig World. In Italia una società di organizzazione eventi, la Kimbe, di Melzo (Mi), ha organizzato diversi incontri. Msc ha effettuato un test di un “format crociere” con un pupazzo di Peppa Pig che accoglieva i bambini a bordo, li intratteneva matitna e pomeriggio e li accompagnava a dormire. Stanno valutando se ripetere e istituzionalizzare l'esperimento.
Appurato il successo, rimane la domanda iniziale. Perché tanto clamore per un cartone tanto banale? Perché questo cartone diventa argomento di conversazione tra Linus e Nicola Savino in radio? Perché durante la Notte Rosa di Riccione 15mila persone sono andate a vedere saltellare il pupazzo di un maialino? Perché quando il "royal baby" è stato chiamto George tanti commenti hanno sottolineato che la zia, Pippa Middleton, si chiamava quasi come Peppa? Una prima risposta è che «in Italia, più che altrove, i genitori vedono la tv con i bambini. Questo ha generato un fenomeno di costume», spiega Raiano. Una seconda risposta è che non è poi così banale.
Ci sono infatti diversi elementi che arrivano, in maniera indiretta, anche ai genitori. Intanto, anche i genitori ritrovano la propria realtà, così come i figli. Quando devono comprare un mobile lo fanno via internet e lo montano da sé, come se lo acquistassero da un noto rivenditore svedese. La società in cui vivono è profondamente multietnica: non è un caso se le diverse specie animali hanno ciascuno un proprio verso e delle abitudini che li rende diversi dagli altri. Si insegna che i conigli vivono nelle tane, in case apparentemente diverse ma in fin dei conti simili alle nostre, come se si dovessero spiegare le abitudini di compaesani stranieri. La piccola Emily Elefante ricorda molto i bambini indiani o pakistani in Inghilterra, Pedro Pony racconta un giorno di strumenti musicali del Sud America.
I rapporti tra i genitori sono da 21esimo secolo: a cucinare è quasi sempre Papà Pig (che in cambio ottiene la libera uscita per il calcetto) e Mamma Pig lavora da casa con il telelavoro, cercando una difficile strada di work-life balance. In questo sono forse la versione anni 2000 dei messaggi (ben più didascalici) mandati negli anni '70 dai Barbapapà, dove non era un caso che il padre fosse rosa e la madre nera e dove il messaggio ambientalista (che oggi appare radicale, quasi da No Tav) era in sintonia con una nuova coscienza che si stava venendo a creare in quegli anni.
I messaggi pedagogici che colpiscono i genitori sono costanti e rispondono alle domande che ogni genitore si pone: quando bisogna essere fermi e quando cedere? Come rapportarci ai nonni? Quando smetterla di preoccuparci e buttarci anche noi nelle pozzanghere di fango? Come ha scritto Tito Faraci su Linkiesta, un prodotto per bambini ha successo se è per loro, ma non solo per loro.

Gli hotel più cari d'Italia

10. HOTEL ROMAZZINO (COSTA SMERALDA, PORTO CERVO) – 1435 € A NOTTE


Cominciamo da questo stupendo hotel in riva al mare della Costa Smeralda, precisamente situato a Porto Cervo! Per chi non l’avesse capito, siamo in Sardegna, e quella in foto è la spiaggia privata fruibile dai clienti dell’hotel. Sono presenti 77 camere e 17 suites: le più costose arrivano a superare i 1400 € a notte, ma ne vale la pena: ognuna di esse ha un terrazzo o balcone privato, e i mobili sono realizzati dai migliori artigiani di tutta l’isola.

9. VILLA DEL PARCO (SANTA MARGHERITA DI PULA, SARDEGNA) – 1576 € A NOTTE


Ecco a voi Villa del Parco, un complesso che è immerso nel paradiso naturale del Forte Village Resort. Si tratta di un rifugio in riva al mare, una vera e propria oasi di benessere. Ha 55 camere, divise in stile bungalow, e il prezzo delle più lussuose arriva a superare i 1.500 € a notte! La struttura offre ben sei piscine di talassoterapia, e tanti altri servizi di SPA, per una vacanza all’insegna del benessere.

8. HOTEL PITRIZZA (COSTA SMERALDA, PORTO CERVO) – 1584 € A NOTTE



Solo ville, per il massimo del comfort e del lusso, in uno stupendo scenario naturale immerso nella Costa Smeralda: ci troviamo nella Baia di Lisca di Vacca, e l’Hotel Pitrizza offre una suggestiva piscina di acqua di mare scavata nella roccia per tutti i propri clienti. Il tutto nella massima riservatezza! Ci sono ville, come la “Casa di Sopra”, situate proprio nella collina sopra l’albergo, oppure ce ne sono altre che sorgono proprio sul mare, come la Villa Corbezzolo!

7. LE DUNE SUITE – FORTE VILLAGE RESORT (SANTA MARGHERITA DI PULA, SARDEGNA) – 1.985 € A NOTTE


Uno degli alberghi più belli di tutta la Sardegna: ecco a voi il complesso Le Dune, che fa parte del Forte Village Resort. Si trova a 40 km da Cagliari, precisamente a Santa Margherita di Pula, ed il prezzo a notte è di ben 1.985 euro! Molti ritengono che si tratti dell’hotel più costoso al mondo, visto anche il prezzo delle singole stanze, ma per gli amanti del lusso e del bel paesaggio questo è senz’altro il top!

6. SAN LORENZO MOUNTAIN LODGE (BRUNICO, BOLZANO) – 3.000 € A NOTTE



Questo stupendo albergo è uno chalet di montagna, ed è immerso tra le Dolomiti atesine.Le sue caratteristiche principali sono ovviamente il lusso e il comfort! Il prezzo per l’affitto di questo lodge arriva anche a ben 3.000 € a notte, ma i servizi sono tra i migliori: baby sitting service, SPA, catering, elicottero per giri panoramici e tanto altro ancora!

5. CARDINAL SUITE – HOTEL VILLA D’ESTE (CERNOBBIO, COMO) – 4.000 € A NOTTE



Siete mai stati al lago di Como? Probabilmente sì, ma di sicuro non sapevate che nei paraggi si trovasse uno degli alberghi più chic e antichi d’Italia, presente dal 1873: la Suite del Cardinale arriva a costare ben 4.000 € a notte, e il prezzo è dovuto al fatto che il cardinale di Como, Tolomeo Gallio, un tempo risiedeva proprio lì. L’ambiente è quello tipico dell’antica nobiltà! 108 metri quadrati più terrazzo privato di 90, affacciato sul lago.

4. AMBASSADOR WING  - SEVEN STARS GALLERIA (MILANO) – 10.700 € A NOTTE


A Milano doveva obbligatoriamente esserci qualcosa di extralussuoso! A “soli” 10.700 € a notte, potrete soggiornare in una lussuosissima suite, la “Ambassador Wing”, nella Seven Stars Galleria, a Milano! È il primo albergo a ben sette stelle in tutte Europa. Vi sono due camere: la prima con salotto e sala da bagno, in pietra di Prun, mentre la seconda comprende un soggiorno su due livelli ed un bagno con tanto di doccia cromoterapeutica. Il maggiordomo privato è compreso nel prezzo!

3. SUITE PRESIDENZIALE – HOTEL CALA DI VOLPE (COSTA SMERALDA, SARDEGNA) – 17.300 € A NOTTE



Saliamo sul podio, ma restiamo in Sardegna, nella Costa Smeralda: che ve ne pare di questa suite extralusso? L’Hotel Cala di Volpe offre una Suite Presidenziale a più di 17.300 € a notte, prezzo che in alta stagione può anche salire, ma ne vale la pena: ci sono tre camere da letto, un solarium, un area fitness, una piscina privata ed una terrazza panoramica!

2. SUITE CUPOLA – HOTEL WESTIN EXCELSIOR (ROMA) – 17.975 € A NOTTE


Al secondo posto troviamo il Westin Excelsior Hotel, che si trova a Roma ed è noto per la sua splendida posizione! Il prezzo della Cupola, la Suite, è di quasi 18.000 € a notte, ma ne vale la pena: c’è una sala da pranzo in grado di ospitare ben 10 persone, i soffitti sono dipinti rigorosamente a mano, e il nome è in riferimento alla cupola alta ben 20 metri ed affrescata in stile neoclassico! Basterà, per sentirsi dei cesari?!?

1. ROYAL SUITE – FOUR SEASONS HOTEL (FIRENZE) – 18.500 € A NOTTE


Qual’è l’hotel più caro e lussuoso d’Italia? Eccolo qua: il Four Seasons Hotel! Si trova a Firenze, e per “solo” 18.500 € a notte potrete dormire sotto degli antichi affreschi, nella Royal Suite. Si trova al piano nobile di Palazzo della Gherardesca, i pavimenti sono originali in ceramica nello stile delle maioliche di Capodimonte, e potrete ovviamente avere a disposizione un maggiordomo e tutto quello di cui avete bisogno per un soggiorno da VIP!

Scegliere il giusto reggiseno

Il reggiseno è un alleato prezioso che deve accordarsi con abiti che porti e con il tuo corpo.
Per trovare il reggiseno perfetto per il tuo seno, devi conoscere in primis la tua taglia.

La taglia


In Italia le misure di reggiseno vanno dalla prima (seno più piccolo) alla decima (seno davvero abbondante). Accanto a questa cifra, si trova spesso una lettera, che corrisponde alle dimensioni effettive della coppa:
-le misure caratterizzate da coppa B corrispondono ad un seno medio, rappresentante la "normalità" per quella misura (ad esempio una terza B corrisponde esattamente alla misura che viene normalmente fornita come terza, sia per quanto riguarda la fascia sottoseno, sia per quanto riguarda la coppa);
- le misure con coppa A (seno scarso) corrispondono ad una misura di reggiseno che per quanto riguarda il sottoseno è identica alla B, mentre la coppa è uguale a quella della misura inferiore (ad esempio una terza A corrisponde esattamente alla misura che viene normalmente fornita come terza per quanto riguarda la fascia sottoseno, mentre la coppa è grande come quella della seconda misura con coppa B)
- le misure con coppa C (seno forte) corrispondono ad una misura di reggiseno che per quanto riguarda il sottoseno è identica alla B, mentre la coppa è uguale a quella della misura superiore (ad esempio una terza C corrisponde esattamente alla misura che viene normalmente fornita come terza per quanto riguarda la fascia sottoseno, mentre la coppa è grande come quella della quarta misura con coppa B);
- via via, la coppa D corrisponderà a quella di due misure superiori ecc.

La forma

- Il reggiseno classico con ferretto assicura comfort e sostegno a quasi tutti i tipi di seno.
- Il reggiseno senza ferretto è meno chic ma più comodo. Si adatta a tutti i tipi di seno, anche i più floridi, grazie alle sue bretelle larghe.
- Il balconcino, molto scollato, ha un taglio arrotondato che lascia scoperta la parte alta del seno, mentre il ferretto la sostiene. Va bene per tutti i tipi di seno, solleva quelli piccoli e mette in evidenza quelli grandi.
- Il top sportivo conferisce il mantenimento ottimale del seno di chi fa sport. Senza ferretto, esso sposa e sostiene il petto grazie a larghe fasce elastiche sotto le coppe e sulla schiena.


- Il bustino, chic e sexy, da portare la sera per completare il tuo look di femme fatale, va bene solo per le taglie dalla prima alla quarta standard.
- Il reggiseno a mezza coppa scopre ampiamente la parte alta del seno e lo solleva grazie al ferretto. Ideale sotto una scollatura profonda, va bene per le taglie dalla prima alla quinta.
- Il triangolo, riservato a chi il seno piccolo, è giovanile e sexy sotto una maglietta ampia e su una silhouette filiforme.
La fascia, raccomandata unicamente a chi porta la prima o la seconda.

Per barare un po’…

Il push-up, imbottito, permette di mettere in evidenza i seni piccoli.
- Il balconcino è adatto a tutti i seni piccoli. E’ corredato di un cuscinetto che arrotonda discretamente il petto.
- Il « minimizer » è riservato alle taglie superiori alla quarta. Esso avvolge il seno e lo sostiene senza comprimerlo.

Da sapere


Evita i materiali molto elastici come lycra ed elastane. Sono comodi ma non sostengono bene.
Le bretelle non devono tagliare le spalle. Una volta regolate fissale dandoci un punto.
I ferretti non devono mai dare fastidio.
Per fare ginnastica, usa un reggiseno apposito. E’ meno sexy ma molto più comodo.

2013-11-16

Sarà il Torio la prossima fonte di energia?


Potrebbe essere nel torio la risposta ai problemi di energia del futuro. La tecnologia legata a questo particolare minerale potrebbe infatti rappresentare il giusto compromesso di sicurezza e di rispetto delle problematiche ambientali che riuscirebbe a convincere anche il più acerrimo ambientalista. Usare torio al posto dell’uranio arricchito per far funzionare centrali nucleari è infatti una tecnologia già ampiamente utilizzata, conosciuta, studiata e anche collaudata che presenta una serie di vantaggi economici e anche ambientali. Ma anche di svantaggi. 

Nel mondo esistono abbondanti riserve di torio e il costo del combustibile sarebbe davvero molto basso. Inoltre le riserve di questo materiale sono presenti un po’ ovunque e questo metterebbe al riparo da eventuali strozzature di mercato. I reattori alimentati a torio poi produrrebbero una serie di scorie che non solo potrebbero essere riutilizzate per alimentare altri reattori, ma sarebbero anche molto meno pericolose di quelle prodotte da reattori ad uranio dell’ordine di diverse potenze in meno. Eppure nonostante tutti questi apparenti vantaggi solo pochi paesi hanno sviluppato questa speciale filiera nucleare: l’I ndia, ora la Cina e, in un certo senso anche il Canada. ” Il motivo per il quale questo tipo di tecnologia non è stato sviluppato – spiega Ezio Puppin, presidente del Consorzio Interuniversitario scienze fisiche della materia (Cnism) -  sono essenzialmente legati alla storia del nucleare, che ai primordi è stato sviluppato per produrre plutonio e altro materiale utile alla fabbricazione di testate nucleari".

Ma ci sono anche altri motivi, anche se non si tratta di problemi insormontabili. Si tratta di problemi essenzialmente legati ai costi di gestione più elevati del ciclo del combustibile nucleare. “ Se infatti per alimentare un reattore tradizionale – spiega Giuseppe Forasassi, presidente del Consorzio interuniversitario di ingegneria nucleare (Cirten) e docente all'università di Pisa – basta semplicemente raffinare un po’ il minerale estratto dalla miniera, per il torio occorre associare un impianto chimico al reattore per permettere di avere combustibile che sia in grado di sostenere la reazione di fissione”. Il problema infatti è che il torio, non è un elemento fissile. Non è radioattivo e cioè non libera dal suo nucleo neutroni che poi vanno a spaccare nuclei di altri atomi. Detta in maniera più semplice il torio da solo non brucia, e nemmeno si accende. Per la verità neanche l’uranio naturale, l’ uranio 238 si accende, ma nei reattori tradizionali si usano miscele di uranio parzialmente arricchito e cioè che contiene al suo interno un isotopo radioattivo dell’uranio naturale, l’ uranio 235, che invece è radioattivo e permette di sostenere la reazione a catena. Il problema dell’utilizzo delle centrali a torio nasce proprio da questa considerazione.
  Non basta infatti mettere una fiammella sotto una barra di torio per liberare l’energia contenuta all’interno dei suoi atomi. Almeno non una fiammella tradizionale. Ne serve una atomica. Serve cioè bombardare con dei neutroni. Ci sono due metodi per fare questo. Il primo è miscelare il torio con elementi radioattivi, per esempio uranio arricchito o plutonio. Il secondo sistema, e questo è il frutto dell’intuizione di Carlo Rubbia quando era alla guida dell’Enea, consiste nel bombardare il torio con un fascio di neutroni prodotti in un acceleratore di particelle. Ottenendo così la cosiddetta trasmutazione per spallazione. I neutroni colpiscono gli atomi di torio e li trasformano, meglio trasmutano, in un altro elemento, l’ uranio 2333, un isotopo non esistente in natura e fortemente radioattivo. Al punto da riuscire a bruciare in maniera più efficiente anche dell’uranio 235 e del plutonio. Ora questa trasmutaz! ione si attiene anche utilizzando come innesco del torio, uranio arricchito. Ed è proprio quello che avviene negli attuali reattori alimentati a torio. “ Il ciclo torio-uranio233 – spiega Emilio Santoro, direttore del reattore Triga dell’Enea - è talmente efficiente che introducendo in reattore 100 kg di si ottengono 120 kg di materiale fissile”. In pratica di benzina. “ I reattori al torio sono estremamente efficienti – spiega Santoro – come del resto quelli cosiddetti superveloci alimentati a plutonio che sono in pratica la quarta generazione di reattori in fase di sviluppo e che credo possano essere il vero nucleare del futuro”.

Impianti al torio erano stati sviluppati anche in Occidente. Proprio ai primordi dell’epopea nucleare, nel 1957 e sotto gli auspici del presidente Usa Eisenhower venne infatti inaugurata la centrale di Shippingport, un piccolo impianto di appena 60 Megawatt di potenza totalmente alimentata a torio. L’idea era quella di collaudare reattori di taglia utile a far girare le eliche delle grandi portaerei americane. Da allora però la storia cambiò rotto e solo pochi altri impianti, come quello di Elk River (le cui barre di combustibile vennero spedite in Italia e ora sono al centro Enea di Trisaia) sono stati realizzati. Solo in India si è puntato molto su questa tecnologia e sono stati effettuati dei reattori alimentati a torio. Negli ultimi anni pero’ questa particolare tecnologia è tornata di moda, soprattutto in Cina che sta puntando moltissimo sul nucleare sia di terza che di quarta generazione. Anche negli Stati Uniti si torna a parlare dei reattori a torio. Principale sostenitore di questa tecnologia è Alvin Weimberg, direttore dei laboratori di Oak Ridge e fondatore della National Science Foundation, che già nel 1958 pubblica un libro di 978 pagine in cui espone la possibilità di creare reattori al torio con combustibile liquido. Un progetto che ora è stato rispolverato anche in America).

E, per un breve periodo venne studiato anche in Italia.
 Nel nostro paese, infatti nella prima metà degli anni 2000, all’Enea si cominciò a sviluppare l’idea proposta da Carlo Rubbia, il cosiddetto Rubbiatron. In pratica si tratta di un reattore al torio che viene acceso non da plutonio, ma da un fascio di neutroni sparati con un acceleratore di particelle. I neutroni colpiscono la barra di torio e innescano la reazione. Con il vantaggio che il fascio di neutroni può essere interrotto in ogni momento proprio come se si trattasse di un vero e proprio interruttore. “ Proprio nell’impianto Triga, alla Casaccia, un piccolo reattore sperimentale, – racconta Santoro – venne iniziata la fase di verifica del progetto che però si arresto’ davanti alla mancanza dei fondi necessari per la realizzazione dell’acceleratore