2012-05-25

Il documento top secret dello scandalo del vaticano

«Beatissimo Padre, un mio trasferimento in questo momento provocherebbe smarrimento e scoramento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione e prevaricazione da tempo radicate nella gestione delle diverse Direzioni (del governatorato, l’amministrazione vaticana, nda)». È il 27 marzo del 2011. A rivolgersi in termini così drammatici direttamente a Benedetto XVI,  denunciando privilegi, corrutele e zone opache Oltretevere, è un sacerdote di primo piano. Carlo Maria Viganò, un monsignore che viene incaricato nell’estate del 2009 su fiducia del Santo Padre a controllare tutti gli appalti e le forniture del Vaticano. La sua opera di tagli e pulizia dà fastidio. Tanto che finisce vittima  di una congiura per bloccare l’opera di pulizia che aveva avviato. Da novembre Viganò è stato rimosso. È diventando nunzio apostolico a Washington negli Stati Uniti, andando a ricoprire la più prestigiosa rappresentanza diplomatica della Santa Sede nel mondo.È una vicenda inquietante quella denunciata da Viganò al Papa, che riporta indietro le lancette in Vaticano agli anni dei silenzi, delle omissioni, delle denunce silenziate, della rimozione di chi cercava di colpire privilegi, di chi voleva allontanare i mercanti dal Tempio finendo invece lui allontanato, vittima delle sue denunce. Stavolta però Viganò non tace, reagisce a certe logiche della Curia Romana e scrive al Papa e al segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. Di più, chiede ai sensi del diritto canonico che sia aperta una commissione di inchiesta su questa vicenda. Si lavora così nelle segrete stanze dei Sacri Palazzi. Chi viene sentito non deve farne parola con nessuno. Tanto che diverse delle persone contattate, come Ettore Gotti Tedeschi, il presidente dello Ior, la banca del Papa, fa esplicito riferimento all’imposizione del segreto pontificio che vincola le persone che vengono ascoltate. Un segreto che violato prevede sino alla scomunica, un  segreto – giusto per avere un paragone – che venne posto sullo scandalo dei preti pedofili. 
«Quando accettai l’incarico al Governatorato il 16 luglio 2009 – scrive Viganò il 4 aprile 2011 al Papa – ero ben conscio dei rischi a cui andavo incontro, ma non avrei mai pensato di trovarmi di fronte ad una situazione così disastrosa. Ne feci parola in più occasioni al Cardinale Segretario di Stato, facendogli presente che non ce l’avrei fatta con le sole mie forze: avevo bisogno del suo costante appoggio». Appoggio che Viganò fa capire non esserci stato. Le finanze sono in uno stato disastroso:  «La situazione finanziaria del Governatorato -prosegue -, già gravemente debilitata per la crisi mondiale, aveva subito perdite di oltre il 50/60%, anche per imperizia di chi l’aveva amministrata. Per porvi rimedio, il cardinale presidente aveva affidato di fatto la gestione dei due fondi dello Stato ad un Comitato finanza e gestione, composto da alcuni grandi banchieri, i quali sono risultati fare più il loro interesse che i nostri. Ad esempio, nel dicembre 2009, in una sola operazione ci fecero perdere 2 milioni e mezzo di dollari. Segnalai la cosa al Segretario di Stato e alla Prefettura degli Affari Economici, la quale, del resto, considera illegale l’esistenza di detto Comitato. Con la mia costante partecipazione alle sue riunioni ho cercato di arginare l’operato di detti banchieri, dai quali necessariamente ho dovuto spesso dissentire». In effetti questo gruppo di banchieri opera senza riconoscimento legale e amministra quasi 300 milioni di investimenti ogni anno. Un portafoglio che si è ridotto – per le perdite – negli ultimi anni.
Chi sono questi banchieri? Volti noti della finanza cattolica. A presiedere il comitato c’è Pellegrino Capaldo, banchiere schivo, già presidente della banca di Roma. Era nella commissione segreta vaticana che concordò il «contributo volontario» per sollevare lo Ior da qualsiasi responsabilità nel crac dell’Ambrosiano con Paul Casimir Marcinkus che portò a Ginevra il 25 maggio 1984 insieme a monsignor Donato de Bonis (quello che dieci anni dopo riciclerà la tangente Enimont ricevuta da Luigi Bisignani sempre allo Ior) l’assegno del silenzio da 242 milioni di dollari. Troviamo poi Gotti Tedeschi, nel comitato fino a quando non è andato al vertice della banca del Papa,  Massimo Ponzellini, già numero uno della Popolare di Milano, indagato per associazione a delinquere dalla procura di Milano nell’inchiesta sui finanziamenti Bpm al gruppo dei videogiochi Atlantis, e Carlo Fratta Pasini, scupoloso presidente della popolare di Verona. 
Viganò taglia i costi e dà sempre più fastidio: «La Direzione dei Servizi Tecnici era quella più compromessa – prosegue -, da evidenti situazioni di corruzione: i lavori affidati sempre alle stesse ditte, a costi almeno doppi di quelli praticati fuori del Vaticano».  La lista dei tagli è infinita, sempre documentata al Papa: «I costi dei lavori sono stati quasi dimezzati». Insomma Viganò taglia del 50% medio ogni lavoro nel piccolo Stato. Un caso su tutti? «Il presepe di piazza S. Pietro del 2009 era costato 550.000 euro, quello del 2010 300 mila euro». E anche il bilancio  ne guadagna passando dal passivo  -7,8 milioni a un attivo di oltre 34 in dodici mesi. Ma l’opera viene «spesso apertamente contrastata, a volte chiaramente boicottata». Tanto che passano pochi mesi e parte «una campagna stampa contro di me e azioni per screditarmi presso i superiori, per impedire la mia successione al cardinale presidente Lajolo, tanto che ormai è stata data per scontata la mia fine». Nel mirino di Viganò degli articoli ritenuti diffamatori usciti su Il Giornale che sarebbero stati confezionati ad hoc  per delegittimarlo. Articoli non riconosciuti dal vaticanista del quotidiano dell’epoca, Andrea Tornielli. Articoli non firmati ma Alessandro Sallusti, il direttore, respinge che si tratti di una manovra denigratoria: “Avevamo all’interno del Vaticano  un insider che scriveva per noi». Quegli articoli sarebbero uno degli strumenti della congiura denunciata dal monsignore. Nel carteggio, Viganò indica anche i nomi e cognomi dei congiurati. Monsignori e laici che avrebbero tramato per interrompere la pulizia su appalti e forniture. Tra questi Viganò indica anche un nome ormai noto alle cronache, il giovanissimo Marco Simeon, amico del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, direttore dei rapporti istituzionali della Rai, consigliere in una fondazione in Vaticano. Simeon batte ogni record in una carriera folgorante: da Genova viene proiettato da giovanissimo all’ombra di Cesare Geronzi prima in Capitalia poi in Mediobanca, tanto da diventare uno dei pontieri da Santa Sede e istituzioni italiane. Non da ultimo persino al professor Mario Monti   viene raccomandato per incarichi nell’attuale governo.  Simeon smentisce, Viganò rimane vittima dell’antico detto «promoveatur ut amoveatur» ed è diplomatico a Washington ma la storia è solo all'inizio